Corte Costituzionale n. 78 del 05/04/2012
In data 05/04/2012 è stata pubblicata l’attesa sentenza della Corte Costituzionale n. 78 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.2 comma 61 del decreto legge n.225 del 29.12.2010 coordinato con le modifiche apportate con la legge di conversione n.10 del 26.2.2011.
Come si evince dal provvedimento, la Corte ha ritenuto fondata la questione di illegittimità costituzionale della citata norma rispetto agli art. 3 e 117 I° comma Cost.
Dopo aver sommariamente esaminato i contapposti orientamenti giurisprudenziali in tema di decorrenza del termine di prescrizione della ripetizione dell’indebito per interessi anantocistici, la Corte ha ribadito il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 24418/2010. A tal proposito la Corte Costituzionale ha concluso che “a parte la correzione relativa ai versamenti con carattere solutorio, la citata sentenza della Cassazione conferma l’orientamento della precedente giurisprudenza di legittimità” .
Esaminando l’art. 2 della legge n. 10/2011, norma che si autoqualifica di interpretazione dell’art. 2935 c.c., la Corte osserva che “essa è intervenuta sull’art. 2935 cod. civ. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine. Inoltre, la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non può sotto alcun profilo essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d’interpretazione.”
Pertanto secondo la Corte “la norma censurata, lungi dall’esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 cod. civ., ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione.”
Inoltre, sempre secondo la Corte “ l’efficacia retroattiva della deroga finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti “.
La retroattività della norma dichiarata incostituzionale entra altresì in conflitto con l’art. 6 della CEDU che integra il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 I ° comma Cost.
La citata normativa internazionale infatti consente un intervento del legislatore sull’amministrazione della giustizia con efficacia retroattiva solo se giustificato da motivi imperativi di interesse generale.
Nel caso di specie, la Corte non ha ravvisato la sussistenza di tali motivi.
La declaratoria di illegittimità si estende anche al secondo periodo dell’art. 2 in base al quale “In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”. I due periodi della norma infatti risultano tra di loro strettamente connessi.
A questo punto è evidente infatti che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione del diritto del correntista alla ripetizione dell’indebito, troverà applicazione esclusivamente il principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010 che pone la distinzione tra versamenti solutori e ripristinatori della provvista. Solo per i primi la prescrizione decorre dalle singole annotazioni in conto; per i secondi invece, come affermato dalla prevalente giurisprudenza, la prescrizione decorre dalla chiusura del conto.